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Licenziamento lavoratrice in gravidanza e cessazione attività

L'art. 54 comma 1 del D.Lgs. 151/01 prevede che le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Detto divieto è reso inoperante in alcuni specifici casi, tra i quali la "cessazione dell'attività dell'azienda".  ma tale deroga non è estendibile  per il giudice di Pescara  al caso  della sentenza n. 39 del 18 gennaio 2016.

IL CASO

La lavoratrice ha depositato davanti al Tribunale di Pescara ricorso nei confronti dell’azienda, affermando:

  • che nel mese di novembre 2011 comunicava al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza e presentava domanda per il riconoscimento della facoltà di assentarsi dal lavoro prima dell'inizio del riposo obbligatorio ante-parto previsto dall'art. 17, 2° comma, lett. a) del D.Lgs. 26.03.2001 n. 151;
  • che la Direzione Territoriale del Lavoro (ex DPL) di Pescara comunicava all’azienda ed alla ricorrente l'interdizione dal lavoro della medesima per il periodo dal 23.11.2011 al 23.12.2011 e dal 24.12.2011 al 18.02.2012;
  • che con comunicazione del 29.12.2011, ricevuta il 13.01.2012, la società intimava alla ricorrente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con decorrenza immediata;
  • che la lavoratrice ha formalmente impugnato il licenziamento con missiva, invocando il ripristino del rapporto di lavoro e mettendo in mora la società datrice di lavoro per la ripresa dell'attività lavorativa e per le retribuzioni perdute.

Sulla scorta di tutto ciò, la lavoratrice ha chiesto che venisse accertata l'illegittimità del licenziamento intimato alla medesima poiché discriminatorio, non sorretto da giusta causa o giustificato motivo con condanna della società resistente al pagamento dell'indennità risarcitoria e delle spese e competenze del giudizio.

L’azienda si è costituita in giudizio, deducendo la legittimità del licenziamento, in quanto intimato per giustificato motivo oggettivo per cessazione dell'attività aziendale del punto vendita, ove la ricorrente era addetta, e per l'impossibilità di collocare la ricorrente in altro punto vendita in quanto privi di personale qualificato in grado di addestrarla.

Il giudice del Tribunale di Pescara ritiene fondato il ricorso della lavoratrice, in quanto il licenziamento è avvenuto durante il periodo di gravidanza e l’art. 54 comma 1 del D.Lgs. 151/01 prevede che le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III (recante disciplina del "congedo di maternità"), nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Detto divieto è reso inoperante in alcuni specifici casi, tra i quali la "cessazione dell'attività dell'azienda". La deroga di cui all'art. 54, comma 4, secondo periodo, d.lgs. n. 151/2001 al divieto generale di licenziamento della lavoratrice madre durante i periodi di tutela deve essere interpretata tassativamente e non può pertanto essere estesa alla differente ipotesi di cessazione del  ramo d'azienda.

Nel caso di specie  invece la cessazione dell'attività aziendale richiamata nella lettera di licenziamento era  da riferire alla sola unità di Pescara  in cui la lavoratrice era impiegata e  non all'intera attività aziendale facente capo  alla società resistente in causa, posto che gli altri punti vendita hanno continuato ad essere operativi.

Il giudice fa rilevare tra l'altro come l'azienda non abbia fornito alcuna prova "della inutilizzabilità della prestazione della ricorrente presso gli altri punti vendita quale apprendista, eventualmente previa modificazione consensuale del contratto inter partes,  e neppure di aver avanzato una qualche proposta in tal senso alla ricorrente".  Dunque, conclude che " il licenziamento della ricorrente, intimato durante il suo stato di gravidanza, deve essere dichiarato nullo per violazione del divieto di cui all'art. 54 D.Lgs. 151/2001 è, pertanto, inefficace; per l'effetto, la resistente viene condannata a ripristinare il rapporto di lavoro con la ricorrente ed a versare all'attrice, a titolo di risarcimento del danno derivato alla stessa dal recesso, le retribuzioni maturate dalla data di decorrenza del licenziamento a quella del ripristino del rapporto di lavoro, oltre accessori di legge dal dovuto al saldo".

 




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Speciale del: 15/03/2016