L'amministratore di fatto risponde per l'omessa dichiarazione

Il reato di omessa dichiarazione, di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, è configurabile anche nei confronti dell'amministratore di fatto, in quanto egli va equiparato a quello di diritto in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta. Questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza n. 41148/2016 della Terza Sezione Penale della Cassazione.

IL CASO
La vicenda è quella di un soggetto condannato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5; in particolare, con sentenza del 29.5.2015, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, condannava per il reato di omessa dichiarazione l’amministratore di fatto di una società srl.
Il giudizio approda in Cassazione su ricorso dell’imputato che censura la motivazione resa dai giudici meneghini,  in quanto fondata su un quadro indiziario basato sulle sole dichiarazioni di alcuni testi, le cui dichiarazioni, a giudizio della difesa,  avrebbero dovuto essere valutate con la massima cautela.



AMMINISTRATORE DI FATTO E REATI TRIBUTARI

Secondo quanto più volte affermato dai giudici di legittimità il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639 c.c., la qualifica di amministratore di fatto di una società deve ritenersi gravato dell'intera gamma di doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto, per cui -ove ricorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo- lo stesso è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a questi ascrivibili. Infatti, in applicazione del principio di sostanziale equiparazione dell'amministratore di fatto a quello di diritto, l'amministratore di fatto è responsabile di tutti i comportamenti commissivi ed omissivi dell'amministratore di diritto, essendo tenuto ad impedire condotte vietate riguardanti l'amministrazione della società ovvero a prevedere l'esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguente responsabilità dello stesso in sede penale, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p.
Com'è noto, nel sistema penale italiano vige il principio, rimontante all'idea individualistica romana secondo cui societas delinquere non potest, per cui, innanzi a un fatto pur riconducibile a un sodalizio, è sempre la persona fisica a dovere rispondere sul piano sanzionatorio (pene detentive o pecuniarie), fermo restando l'obbligo del pagamento sussidiario, a carico della società stessa, di multe e ammende comminate a quest'ultimo (obbligazione civile di cui al richiamato art. 197 del codice penale). Tale assunto trova conforto nel dato costituzionale art. 27, comma 1, che sancisce il principio di personalità, nel senso dell'impossibilità di addossare alla società le conseguenza di un comportamento di altri nonché nel senso di non potere ricondurre una sanzione a chi - la società - non è soggetto dotato di atteggiamento volitivo colpevole (tesi superabile, tuttavia, se si accede alla teoria organicistica della persona giuridica), ma anche in virtù del comma 3 del medesimo articolo della Costituzione non potendosi certo ipotizzare la rieducazione del sodalizio in quanto tale.
Con il D.Lgs. n. 231/2001 è stata introdotta la responsabilità degli enti da reato altrui; tuttavia  assume importanza la disamina dei soggetti coinvolti, nell'assetto attuale, nella punibilità per vicende riferibili agli interessi del sodalizio.
La vexata quaestio s'incentra, appunto, sulla valutazione della responsabilità penale in capo a chi rivesta formalmente un determinato ruolo all'interno della società o in chi, pur alieno dalle formalizzazioni, abbia comunque assunto, di fatto, una dimensione penalmente apprezzabile (sia esso un soggetto che già ricopriva pleno iure alcune funzioni, salvo poi decaderne, o un soggetto che abbia sempre operato nell'ombra).
Per amministratore di fatto,  s’intende il soggetto che , sebbene non formalmente investito di alcuna carica, si ingerisca nella gestione della società, compiendo attività proprie di coloro i quali curino la stessa.
Tradizionalmente, nella figura di un amministratore di fatto si notano almeno le seguenti caratteristiche:

  • esercizio di funzioni tipiche degli amministratori di diritto,
  • assenza di investitura assembleare,
  • esercizio continuativo dell'attività e autonomia decisionale;

non invece  l'esclusività, giacché "l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto può verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali ... esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione"(così Cass. n. 15065 del 2011).
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Aggiornata il: 19/10/2016