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Il trasferimento all’estero della residenza fiscale delle persone fisiche

Il trasferimento all’estero e il concetto di residenza - l'A.I.R.E.

Il primo passo da compiere per chi vuole trasferirsi all’estero è quello della cancellazione dall’Anagrafe nazionale e dell’iscrizione all’A.I.R.E.(1)

Devono iscriversi all’A.I.R.E., i cittadini che trasferiscono la propria residenza all’estero per periodi superiori a 12 mesi, o per quelli che già vi risiedono, sia perché nati all’estero sia per successivo acquisto della cittadinanza italiana a qualsiasi titolo .(2)

I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche in Italia sono dettati dall’art. 2, co. 2, del DPR n. 917 del 1986 (“T.U.I.R.”) il quale stabilisce che "ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile".

Pertanto gli elementi che determinano la residenza fiscale in Italia sono:

  • l'iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente;
  • il domicilio nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 43, co. 1, del codice civile;
  • la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 43, co. 2, del codice civile.

Attenzione, perché i requisiti menzionati sono tra loro alternativi e non concorrenti: il verificarsi di uno solo di essi determina la residenza fiscale in Italia. 

Prima di tutto, occorrerà, quindi, fare molta attenzione alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, rilevante non solo formalmente ma anche sostanzialmente: se si vive all’estero ma non si è provveduto ancora alla cancellazione, si rimane in ogni caso residenti in Italia e, in conseguenza di ciò, fiscalmente soggetto passivo in Italia.

Tuttavia, la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione all’A.I.R.E. non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (Cass. 17 luglio 1967, n. 1812; 20 settembre 1979, n.4829; 24 marzo 1983, n.2070; 5 febbraio 1985, n.791).

Vediamo, quindi, cosa si intende per residenza e domicilio fiscale.

La residenza è definita dal codice civile come "il luogo in cui la persona ha la dimora abituale" ed è legata alla permanenza del soggetto in un luogo in maniera sufficientemente stabile e all’intenzione di dimorarvi.

Con riferimento all’aspetto temporale, per definire la dimora come “abituale”, il criterio adottato al legislatore è quello della prevalenza numerica: sono considerati residenti i soggetti che si sono trovati in una delle condizioni indicate sopra per almeno 183 giorni (184 giorni negli anni bisestili), anche non continuativi.

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare che affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività (Cass. 29 aprile 1975, n. 2561; Cass. S.U. 28 ottobre 1985, n. 5292). Cosicché l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del territorio dello Stato, purché conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. 14 marzo 1986, n. 1738).
La residenza, quindi, non verrà meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago (Cass. 12 febbraio 1973, n. 435).

Il domicilio, invece, è determinato dalla concentrazione in un determinato luogo degli affari e interessi della persona, senza che sia necessaria la sua presenza effettiva in tale luogo, e dalla volontà di costituire e mantenere in un determinato luogo il “centro” principale della generalità dei rapporti.

Il concetto di domicilio consiste, quindi, principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall'elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).

La locuzione "affari ed interessi" (di cui al citato art. 43, co. 1, del Codice Civile), un tempo limitata al settore economico e patrimoniale del soggetto, deve intendersi, per unanime interpretazione giurisprudenziale, in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari (Cass. 26 ottobre 1968, n.3586; 12 febbraio 1973, n. 435); sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona (Cass. 5 maggio 1980, n. 2936).

In passato, l'Amministrazione finanziaria, nel caso di un soggetto iscritto all'AIRE ed esercente attività di lavoro autonomo all'estero, ha affermato che la residenza fiscale in Italia si concretizza qualora "la famiglia dell'interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all'estero" o, comunque, nel caso in cui "emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato ha quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi" (Ris. 14 ottobre 1988, n. 8/1329). Da ciò discende che deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all'estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantenga, nel senso sopra illustrato, il "centro" dei propri interessi familiari e sociali in Italia.

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Aggiornata il: 10/05/2019