Ultime notizie
Archivio per Anno

DPI e lavoro dipendente: il tempo per indossarli deve essere retribuito

Ci sono eventi talmente rilevanti da riuscire a modificare le più normali abitudini quotidiane, anche in campo lavorativo. Con l’arrivo della pandemia, e poi con le conseguenti misure di contenimento, parole come DPI, acronimo di Dispositivi di Protezione Individuale, prima relegate all’interesse limitato di alcuni settori, sono divenute di uso comune.

Ormai chiunque è a conoscenza dell’obbligatorietà, oltre che della necessità, dell’utilizzo di questi dispositivi per tutti coloro che lavorano in contatto con il pubblico, per la propria e l’altrui tutela.

A seconda delle mansioni e del lavoro svolto dal lavoratore, il tempo richiesto per indossare i DPI previsti dalla normativa nazionale può anche non essere indifferente.

Se per il lavoro autonomo questo è un problema naturalmente a carico di chi è datore di lavoro di se stesso, nel contesto del lavoro dipendente, quando la retribuzione diventa funzionale al tempo, se il tempo impiegato per indossare tali dispositivi debba essere retribuito oppure no, e se si, in che misura, è questione di viva attuali.

La recente ordinanza della Corte di Cassazione sezione civile numero 21168 del 23 luglio 2021, occupandosi della questione, stabilisce un punto sull’eventuale contendere.

L’ordinanza non si occupa nello specifico dei DPI per la tutela sanitaria previsti ai fini della prevenzione della diffusione del coronavirus Covid-19, ma prende in esame, più genericamente e universalmente, il problema dell’eventuale computabilità nell’orario di lavoro del tempo dedicato “alle operazioni di vestizione e svestizione conseguenti all’uso di divise aziendali e dispositivi di protezione individuale da indossare prima dell’inizio dell’orario di lavoro e da lasciare in sede al termine”.

Si comprenderà come la fattispecie in esame non rappresenti un caso specifico, ma un insieme di situazioni, all’interno delle quali ricadono anche i DPI pandemici, in relazione alle quali la Corte stabilisce delle linee guida applicative.

Secondo la Corte di Cassazione non sono di per sé stesse le caratteristiche del vestiario o dei dispositivi utilizzati a inquadrare la remunerabilità del tempo impiegato, quanto “la condizione data dall’essere le modalità esecutive di quelle operazioni imposte dal datore di lavoro”, fatto che, però, a seconda delle situazioni, può essere “implicitamente desumibile […] dalla natura degli indumenti da indossare o dalla specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione”.

Quindi, per potersi il tempo di vestizione considerare tempo di lavoro, da doversi retribuire, il lavoratore in questa operazione deve essere eterodiretto dal datore di lavoro, attraverso l’imposizione di specifiche modalità operative da parte sua. La natura degli indumenti indossati e dei DPI adoperati, a seconda della specifica funzione che essi svolgono, per le loro caratteristiche intrinseche possono da soli essere in grado di dimostrare implicitamente che il loro utilizzo non rappresenti una libera scelta del lavoratore, ma una imposizione del datore di lavoro.

Semplificando per chiarezza, il datore di lavoro che richieda al lavoratore di indossare uno specifico vestiario e specifici dispositivi di protezione individuale, per scelta aziendale o per imposizione legale (possibilmente prevista per la specifica attività lavorativa espletata), dovrà anche retribuire il lavoratore per il tempo che questo impieghi per l’operazione.

Tornando ai DPI e al vestiario funzionale alla tutela dal Covid-19, e osservandoli attraverso le lenti interpretative dell’ordinanza in trattazione, si evidenzierà come il tempo necessario per indossarli dovrà essere retribuito in tutti i casi in cui l’operazione è richiesta dal datore di lavoro con  modalità dallo stesso indicate, a prescindere che questi risponda a una scelta aziendale o alla Legge.

In relazione alla quantificazione del tempo dedicato alle operazioni in questione, da retribuirsi, la Corte, basandosi su “un dato di comune esperienza”, ha ritenuto plausibile un arco temporale di 30 minuti; ma questo dipenderà anche dalle specifiche situazioni e dalle richieste del datore di lavoro.


Fonte: Corte di Cassazione
News del: 25/08/2021


«« Torna Indietro