Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta , costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro ad un comportamento legittimo del lavoratore ( nel caso di ritorsione diretta) o di altra persona ad esso legata (ritorsione indiretta).
Il licenziamento per ritorsione richiede l’accertamento di due presupposti:
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il motivo di ritorsione (motivo illecito);
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la assenza di altre ragioni lecite determinanti (esclusività del motivo).
Se ne viene così accertata la natura ritorsiva, tale licenziamento è nullo ai sensi del combinato disposto dell'art. 1418, comma 2, c.c., art. 1345 ed art. 1324 c.c..
Siffatto tipo di licenziamento, anche definito "per rappresaglia", infatti, è stato ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità , data l'analogia di struttura, alla fattispecie di licenziamento discriminatorio, vietato dall’art. 4 della l. 604/1966, dell’art. 15 della l. 300/1970 e dell’art. 3 della l. 108/1990 - interpretate in maniera estensiva.
Per questo ad esso si applicano le stesse conseguenze ripristinatorie e risarcitorie di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, fatte salve dalla riforma del Jobs act anche per il contratto a tutele crescenti istituito dal decreto legislativo 23-2015.