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Le causali CIGS nel D.lgs. n. 148/2015 Jobs Act

Le causali di CIGS: riorganizzazione e crisi aziendale

Mentre nella disciplina del campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria non ci sono rilevanti novità a seguito della riforma del D.lgs. 148/2015, alcuni approfondimenti meritano di essere fatti in relazione alle modifiche in materia di causali.

L’articolo 21 del D.lgs. 148/2015 elenca e descrive le causali per cui le aziende possono chiedere l’intervento della cassa integrazioni guadagni straordinaria.

La prima causale è la riorganizzazione aziendale, già prevista dalla disciplina previgente, che ricomprende anche le ipotesi di ristrutturazione e riconversione aziendale.

La norma specifica che il programma di riorganizzazione aziendale deve presentare un piano di interventi volto a fronteggiare le inefficienze della struttura gestionale o produttiva e deve contenere indicazioni sugli investimenti e sull'eventuale attività di formazione dei lavoratori. Tale programma deve, in ogni caso, essere finalizzato a un consistente recupero occupazionale del personale interessato alle sospensioni o alle riduzioni dell'orario di lavoro.

Crisi aziendale

All’interno della causale di crisi aziendale, negli anni, sono state fatte rientrare situazioni aziendali praticamente irrecuperabili, permettendo l’autorizzazione di trattamenti straordinari di integrazione salariale anche in casi di decozione delle aziende, per le quali, sostanzialmente, la CIGS rappresentava solamente il procrastinarsi di una situazione di fatto da cui l’azienda comunque non si sarebbe ripresa. La volontà del Legislatore, espressa nella Legge delega 183/2014 ed emergente dalla struttura generale della riforma nota come Jobs Act, appare essere quella di abbandonare l’assistenzialismo puro nei confronti delle aziende in crisi, privilegiando piuttosto strumenti di chiusura delle aziende in crisi e di conseguente ricollocazione del personale. Proprio per questo il D.lgs. 148/2015, all’articolo 21, comma 1, lettera b, statuisce che a decorrere dal 1° gennaio 2016 non potranno più essere autorizzati trattamenti di integrazione salariale straordinari per crisi aziendale qualora vi sia la cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa. In sostanza, se al momento di presentazione della domanda è già chiaro che l’azienda non ha possibilità di riprendersi, e quindi di ottenere un recupero occupazionale, l’ordinamento non ha interesse nel mantenerla in vita attraverso la concessione dell’ammortizzatore sociale.

Il Legislatore ha, però, deciso di non abbandonare a prescindere le aziende in crisi nelle quali cessi l’attività produttiva; infatti, il comma 4 dell’articolo 21 prevede che qualora all'esito del programma di crisi aziendale l'impresa cessi l’attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell'azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale può essere autorizzato un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria sino a un limite di 12 mesi per il 2016, 9 mesi per il 2017 e 6 mesi per il 2018. L’intervento deve essere autorizzato previo accordo stipulato in sede governativa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche in presenza del Ministero dello sviluppo economico. (...)

Fonte: Fisco e Tasse


Aggiornata il: 16/11/2015