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Crisi d’impresa: riforma entro metà novembre

Definizioni: basta con il termine fallimento

 L’articolato in esame detta taluni principi giuridici comuni al fenomeno dell’insolvenza, destinati ad operare quali imprescindibili punti di riferimento per le diverse procedure, pur conservando le differenziazioni necessarie in ragione della specificità delle disparate situazioni in cui l’insolvenza può manifestarsi. L’articolo 2, in particolare, rappresenta uno dei pilastri dell’impianto normativo in commento, in quanto, sulla scia di una tecnica compositiva ormai consolidata, orienta l’interprete fornendo le nozioni fondamentali della materia in esame, tra le quali emergono:

  • crisi”, come stato di difficoltà economico-finanziaria che rende “probabile” l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Pertanto il legislatore delegato non fa coincidere la crisi all’insolvenza in atto, bensì si riferisce ad un pericolo di futura insolvenza.
  • insolvenza”, come “lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori”, con ciò ribadendo la nozione già collaudata da molti decenni di esperienza giurisdizionale.
  • fallimento”, non presente già dalla prima bozza, così abbracciando la più generale tendenza manifestatasi in alcuni ordinamenti europei di civil law (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna) e volta a scongiurare l’aura di negatività e di discredito, anche personale, che senza dubbio a tale termine si accompagna. Il differente approccio lessicale, nelle intenzioni espresse dalla relazione illustrativa, può meglio esprimere una moderna cultura del superamento dell’insolvenza, letta come “evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un’impresa”, da prevenire e, eventualmente, governare al meglio.
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Aggiornata il: 12/10/2018