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Prescrizione cartella di pagamento nel fallimento: chi giudica?

Argomentazioni a favore di una revisione dell’interpretazione pregressa.

Viene ricordato come la sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, già citata, fornisca altri elementi a conferma di una revisione del precedente orientamento.
La Corte premette che «la linea di demarcazione della giurisdizione [è] posta dalla cartella di pagamento e dall'eventuale successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione».
Osserva altresì che «È questo un criterio di riparto della giurisdizione; ma la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e 113 Cost.».
E il profilo per cui l’impianto normativo ritenuto illegittimo costituzionalmente non ha retto il vaglio di costituzionalità era proprio il fatto che l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è una tutela che non ricade nella giurisdizione del giudice tributario e dunque non è attivabile con il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché la giurisdizione del giudice tributario non è ormai configurabile perché si è a valle dell'area di quest'ultima. Quindi «c'è una carenza di tutela giurisdizionale» giudicata costituzionalmente non tollerabile «perché il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell'esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione».
Per i principi espressi in quella sede dalla Corte Costituzionale, allora, occorre concludere che la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in tutte le controversie che si collocano «a valle della notifica della cartella di pagamento», dove non v'è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e l'azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, «deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva» (sentenza n. 114 del 2018).
Quindi, tornando al criterio base del giudizio tributario (ovvero all’impugnazione-merito) per la Corte non c’è un atto impositivo da impugnare una volta regolarmente notificata la cartella di pagamento, ma il giudizio diviene una opposizione agli atti esecutivi ex articolo 615 c.p.c. Esclusa dalla giurisdizione tributaria per espressa previsione dell’articolo 2 del D.Lgs 564/92.
La Cassazione ricorda poi come tra le «altre evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva» mediante l'opposizione ex art. 615 c.p.c., la Corte costituzionale menziona le «ipotesi dell'intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l'eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta "rottamazione" [...]». Conclude quindi che in tale novero non v'è ragione di non ricomprendere l'estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella.
In conclusione dunque, per la Cassazione, il Tribunale di Palermo (e prima acora il Giudice Delegato) avrebbero correttamente operato decidendo sulla questione della intervenuta prescrizione dei crediti erariali.

Fonte: Fisco e Tasse


Aggiornata il: 02/01/2020