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Rimborso e Sanzioni per Iva erroneamente assolta

In merito alle fatture emesse con erronea indicazione dell’Iva, dal 1° gennaio 2016, il comma 7 dell’art. 21, Dpr 633/1972 chiarisce che “se il cedente o il prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”. Dall’altra parte, l’art 26 dice che il fornitore o prestatore che si sia accorto dell’errore ha il diritto di portare in detrazione l’imposta inesatta attraverso la sua registrazione, come se si trattasse di un acquisto. L’ acquirente deve al contempo registrare la variazione iva tra le fatture di vendita in modo da rendere, la parte dell’operazione considerata errata, sostanzialmente priva di effetti. Tale meccanismo incontra tuttavia un grosso limite temporale: non può essere applicato qualora sia decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione. Decorso il termine di un anno l’unica strada percorribile, era quella di richiedere il rimborso entro due anni dal pagamento. Codesto rimborso poteva essere chiesto, dal fornitore, sia nel caso in cui l’acquirente si fosse rifiutato di pagare l’Iva errata, sia nel caso in cui lo stesso avesse chiesto la restituzione dell’imposta assolta in via di rivalsa.

Si poneva quindi il problema in quei casi in cui l’iva assolta in fattura venisse considerata indebita a seguito di una contestazione dell’Agenzia delle Entrate che, come noto, procede con altre tempistiche e perciò sarebbe potuta essere definita in un momento successivo rispetto al termine per chiedere il rimborso.
Per “fare il danno minore” inoltre, il soggetto attivo ed il soggetto passivo della fattura potrebbero trovarsi in situazioni diametralmente opposte in quanto:

  •  al cedente/prestatore, qualora decidesse di percorrere la strada con minore esigibilità d’imposta, potrebbe essere eccepita la mancata applicazione della stessa;
  •  all’acquirente/committente che abbia pagato un’imposta più alta del dovuto, potrebbe essere eccepita la detrazione indebita.

Per superare tali problematiche sono stati fatti due interventi:

  •  il primo a livello Europeo mira a tutelare la sfera del fornitore (Legge 20 novembre 2017 n°67, art.8);
  •  il secondo, a livello Nazionale, è indirizzato alla figura del cliente (Finanziaria 2018, art.1 comma 935).

La Legge europea 2017 è intervenuta nel DPR 633/1972 con l’art. 30-ter che da una parte ha ribadito quanto già previsto dall’art. 21 e condizionato la richiesta di rimborso alla domanda di restituzione di quanto indebitamente pagato dall’acquirente, dall’altra ha collegato la rilevanza del limite temporale ad un dies a quo a cui fare riferimento nel caso di accertamenti dell’Amministrazione Finanziaria. Infatti, “nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione Finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”. Così facendo non potrà verificarsi il caso in cui il fornitore, decorsi due anni dal momento di esigibilità dell’imposta e restituito al cliente quanto indebitamente assoggettato, si ritrovi ad essere definitivamente inciso dal tributo.

La legge di Bilancio 2018 invece ha stabilito che, “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva”, il committente/cessionario ha il diritto di detrarre l’imposta pagata ma, essendo tale comportamento qualificabile come una violazione, deve essere punito con una sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10.000€. Sostanzialmente la sanzione non è più commisurata in maniera proporzionale all’indebita detrazione ma viene erogata in misura fissa. Infine lo stesso articolo 30-ter del DPR 633/1972 esplicita il fatto che “la restituzione dell’Imposta è esclusa qualora il versamento si avvenuto in un contesto di frode fiscale”.

Assonime, nella propria circolare chiarisce che innanzitutto non si ritiene debba essere fatta un’ interpretazione letterale della norma e circoscrivere la disciplina appena descritta esclusivamente ai casi in cui sia stata addebita da un lato e, detratta dall’altro, l’ imposta in maniera eccessiva rispetto a quanto dovuto; in linea con la ratio quindi la disciplina dovrebbe essere rivolta anche ai casi in cui l’imposta magari non dovesse proprio essere applicata, si pensi ad esempio al caso delle operazioni esenti o a quelle che sono completamente escluse.

Atro chiarimento riguarda il fatto che la disciplina Italiana possa risultare in conflitto con l’indirizzo comunitario secondo cui l’imposta non dovuta non è detraibile, tuttavia, secondo Assonime, la disciplina in esame ha l’obiettivo di continuare a rendere neutrale l’imposta, anche in un caso di errata applicazione, quindi è assolutamente in linea col principio su cui si basa. Inoltre la precisazione fatta in merito ai casi di frode fa si che il meccanismo appena esposto eviti un eventuale abuso.

Unico punto ancora poco chiaro riguarda l’erogazione della sanzione in capo al committente/cessionario, colpevole di aver detratto un’iva, regolarmente esposta in fattura e conseguentemente pagata; secondo Assonime si tratta di “un’anomalia del sistema sanzionatorio dato che l’esercizio di un diritto, come quello di detrarre l’IVA, costituirebbe il presupposto per l’applicazione di una sanzione, come se quel diritto, in effetti, non fosse riconosciuto”.

 


Fonte: Assonime
News del: 06/06/2018


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