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Depositi IVA 2017: cosa cambia dal 1° aprile 2017

I beni che possono essere immessi nel deposito IVA 2017

Nel deposito IVA possono essere introdotti e custoditi soltanto beni nazionali e comunitari che non sono destinati ad essere oggetto di vendita al minuto durante il periodo di giacenza in tali locali. Vi possono essere introdotti anche beni provenienti da Paesi non aderenti all’Unione europea ma soltanto se preventivamene sono stati immessi in libera pratica per cui tali merci provenienti da territori extracomunitari devono aver perso lo status di “merce non comunitaria” e devono aver acquisito lo status di “merce comunitaria” per cui possono circolare liberamente nel territorio dell’Unione europea.
L’immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA non rappresenta un’importazione in sospensione di imposta ma un’importazione per la quale l’imposta sul valore aggiunto dovuta è differita dal momento in cui si realizza l’introduzione nel territorio cioè quando tali beni verranno estratti dal deposito per essere commercializzati in Italia, dovendo essere assolta al soggetto passivo interessato ricorrendo al meccanismo dell’inversione contabile (c.d. “reverse charge”). In base al comma 4, lett. b), l’introduzione dei beni immessi in libera pratica nei depositi IVA è sempre subordinata alla prestazione di un’idonea garanzia che è commisurata all’imposta. Tuttavia, la garanzia non è richiesta da particolari categorie di soggetti che riscuotono la fiducia dell’amministrazione doganale, identificati all’art. 90 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in ragione della loro solvibilità e quelli titolari della certificazione che attesta il possesso dello status di Operatore Economico Autorizzato (note dell’Agenzia delle dogane 7 settembre 2011, n. 84920/RU, 5 ottobre 2011, n. 113881/RU, 4 novembre 2011, n. 127293/RU, e 1° febbraio 2012, n. 148047/RU).
Secondo l’art. 4 del d.m. 20 ottobre 1997, n. 419, in linea generale, i beni sono introdotti nel deposito IVA sulla scorta di documenti amministrativi, commerciali o di trasporto che contengono i dati identificativi dei beni e del loro proprietario per conto del quale avviene l’introduzione. Per i beni immessi in libera pratica in Italia è rilevante il documento doganale di importazione (art. 4 del d.m. 20 ottobre 1997, n. 419).
La normativa non opera alcuna discriminazione avente ad oggetto la natura, la qualità o la quantità dei beni né i motivi della loro introduzione nel deposito.
Tuttavia, questa regola generale ha valenza soltanto per i beni che sono oggetto di acquisto intracomunitario (art. 50-bis, comma 4, lett. a) ovvero beni importati (art. 50-bis, comma 4, lett. b) ovvero alle cessioni di beni eseguite mediante l’introduzione di beni (art. 50-bis, comma 4, lett. c); invece, fino al 31 marzo 2017, l’introduzione dei beni doveva essere finalizzata alla loro cessione nei confronti di acquirenti soggetti passivi identificati in altro stato membro dell’Unione europea). Fino al 31 marzo 2017, l’introduzione agevolata era finalizzata alla sola cessione nei confronti di acquirenti nazionali o extracomunitari di beni inclusi nelle categorie merceologiche indicate espressamente nella Tabella A-bis allegata al d.l. 30 agosto 1993, n. 331, cioè beni che sono oggetto di scambi nelle borse merci, quali metalli non ferrosi, derrate alimentari, ecc.
La preclusione generale del riconoscimento del beneficio è rappresentata dal fatto che l’estrazione dei beni è consentita soltanto ai soggetti passivi d’imposta e non anche ai privati consumatori: nel periodo di giacenza nel deposito i beni non possono essere oggetto di vendita al dettaglio.
Tuttavia, chi esercita un’attività promiscua di vendita al dettaglio e di vendita all’ingrosso può avvalersi della speciale disciplina utilizzando il deposito IVA soltanto limitatamente alle merci che sono oggetto di vendita all’ingrosso a condizione che sia osservato l’obbligo di separazione contabile di cui all’art. 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. In tale ipotesi, qualora successivamente all’entrata dei beni venga deciso di destinarli, in tutto o in parte, alla vendita al minuto nel territorio dello Stato, l’operatore ha l’obbligo di procedere alla loro estrazione rispettando le regole procedurali indicate del comma 6 dell’art.50-bis. “Nella fattispecie descritta, peraltro, non assume rilevanza la circostanza che i beni custoditi in deposito risultino già confezionati per la vendita al minuto, potendo anche sotto tale forma costituire oggetto di commercializzazione all’ingrosso da parte dell’esercente” (circolare 24 marzo 2015, n. 12/E).


Attenzione: Salvo quanto previsto per i beni oggetto delle prestazioni di servizi di cui all’art. 50-bis, comma 4, lett. h), per essere considerati introdotti nel deposito IVA, i beni “devono entrarvi materialmente, essendo il deposito IVA un vero e proprio luogo fisico nel quale devono essere assolte in ogni caso le funzioni di stoccaggio e custodia, che giustificano economicamente e giuridicamente il contratto di deposito. A tal fine qualsiasi spazio delimitato chiaramente, di cui si ha la disponibilità giuridica, e che rispetti i requisiti richiesti dalla normativa citata può essere deputato a deposito IVA. Ciò che assume rilievo, infatti, è la condizione che siano facilmente individuabili i beni sottoposti al particolare regime, senza possibilità di confusione, anche se non sono presenti recinzioni fisiche come cancellate e simili” (circolare 24 marzo 2015, n. 12/E).

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Aggiornata il: 05/05/2017