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Web tax 2020: che cosa cambia

Profilo generale e commento

L’imposta si applicherà ai ricavi su servizi digitali, come definiti dalla norma, realizzati indistintamente da imprese italiane ed estere.

Tuttavia, i volumi di affari aziendali al di sopra dei quali l’impresa viene chiamata a versare l’imposta e le ipotesi di esclusione contemplate dal nuovo comma 37-bis lasciano pensare che, più che pensare a eventuali soggetti italiani (che già pagano l’Ires sui propri profitti), il legislatore si sia voluto dotare di uno strumento giuridico per attrarre nelle maglie del fisco una quota dei profitti di quei soggetti non residenti (i c.d. “big del web”) che, attraverso la prestazione di servizi immateriali via Internet, producono ricavi nel nostro paese (a motivo degli utenti qui fisicamente presenti) senza pagare l’Ires sui relativi redditi, in quanto privi di stabile organizzazione.

Con tale nuova imposta si mira a colpire sia la capacità del web di fare business consentendo alle persone di connettersi tra di loro, sia tutto ciò che potremmo definire il “backstage” di internet, vale a dire quell’insieme di servizi digitali della cui esistenza l’utente non ha talvolta piena consapevolezza (come ad esempio la trasmissione, ai fini di profilazione, dei dati originati dalla navigazione), o che vengono considerati elementi marginali della navigazione web (come la pubblicità mirata online2).

Per quanto riguarda le modalità applicative, è auspicabile che il Mef chiarisca in modo più specifico le casistiche tassabili, soprattutto per la tipologia di ricavi scaturenti dalle attività di cui al sopra citato comma 37, lett. b). Si pensi, ad esempio, alla semplice fornitura di una casella pec, con accesso da web: dalla lettura combinata del medesimo comma 37 lett. b) e del comma 40, lett. b), tale esempio parrebbe restare fuori dal campo di applicazione del tributo, ma, ripetiamo, una elencazione delle casistiche ordinariamente tassabili sarebbe alquanto opportuna.

Sull’opportunità di introdurre una simile imposta vi è da vari anni un ampio dibattito a livello internazionale. In particolare il tema dell’erosione della base imponibile nazionale e dello spostamento dei profitti (c.d. Beps) è oggetto di un articolato lavoro in sede Ocse, che sta coinvolgendo 135 paesi (cfr. sito Ocse).


Pur partecipando a tale lavoro congiunto in sede Ocse, l’Italia per il momento ha tuttavia seguito la decisione della Francia di introdurre una autonoma imposta nazionale, in assenza di un accordo in sede internazionale. La Web tax francese (il cui testo è consultabile nell'apposito sito)  è entrata in vigore lo scorso luglio ed ha una struttura analoga a quella italiana, nonché la medesima aliquota.

L’introduzione di tali imposte è stata oggetto di critiche da parte del governo Usa, dal momento che alcune delle “big-tech” colpite sono statunitensi.

In tale contesto, il comma 49-bis della Web tax italiana prevede significativamente che la stessa imposta sarà abrogata dalla data di entrata in vigore delle disposizioni in materia di tassazione dell’economia digitale, quali deriveranno dagli accordi raggiunti in sede internazionale.

Ricordiamo infine che la recente novella legislativa ha continuato a mantenere in vigore la modifica dell’art. 162 Tuir effettuata dalla legge di stabilità 2018 sulle stabili organizzazioni, che introduceva una nuova modalità di individuazione delle stesse, basato non più solamente su una presenza fisica nel territorio, bensì su “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.” 3

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2.Pare opportuno anche considerare che i ricavi così ottenuti sono la fonte da cui scaturiscono una quota dei profitti che hanno consentito ai big del web di mettere a disposizione degli utenti internet numerosi servizi in forma gratuita. 

3.Così la nuova lettera f-bis aggiunta al comma 2 dell’art. 162 Tuir.

Fonte:


Aggiornata il: 04/02/2020